È difficile che il confronto con la realtà non deluda. La maggior parte dei locali di Maputo sono caldi e divertenti. É facile incontrare gente e perdere la testa per quel paio d’ore. Ma in genere non si ha l’impressione di trovarsi lì dove una pagina importante della cultura di una nazione sta venendo scritta. È forse un’eccezione l’Africa Bar. L’ottimismo necessario per vederlo come reale luogo dove si cucina la cultura tropicale non è poi grande. Ci sono sempre bravissimi autori locali, c’è un pubblico abbastanza misto e molte aperture verso il resto del continente africano.
E poi ha aperto Chez Rangel Jazz Bar.
Succede poche volte, ma il locale che il fotografo Rangel ha appena aperto è l’esatta materializzazione di quella che mi ero rassegnato essere solo infantile idealizzazione.
Già la localizzazione è geniale: si trova in una ex sala d’aspetto della splendida (ed essenzialmente inutilizzata) stazione dei treni disegnata da Eiffel (proprio quello della torre). Le mensole di vetro, gli appliques e le piastrelle sono degli anni 30 e 40, così come il taglio del vestito nero del barista. Il lampadario originale art deco è un capolavoro (me lo ha detto un architetto, non sono parole di informatico!). E tutto questo senza un filo di muffa o decadenza. Anzi sono proprio la vitalità e lo swing ciò che rendono Chez Rangel un posto speciale.
La serata di ieri è cominciata con il grande Arturo Garrido Jr., figlio d’arte dell’Arturo Garrido che suonava ai tempi di Samora Machel e fratello maggiore dell’attuale ministro della salute, seduto al nostro tavolo a chiedere delucidazioni sulla corretta pronuncia di faje in “damme 'na mano a faje di de si” dal testo di “Roma non far la stupida stasera”. Questo è stato il brano di apertura della serata. Arturo ci raccontava di come si sia innamorato di quel brano dopo averlo sentito per la prima volta all’hotel Polana cantato da: “i 5 di Roma” un gruppo di Italiani venuti in tournee nell’allora Lourenço Marques, innamoratisi del posto e fermatisi poi per 12 anni (questa è un’altra storia da perseguire…).
Arturo è mulatto. Insieme a lui hanno cantato altri musicisti, alcuni bianchi ed altri di colore. Il repertorio è stato molto raffinato e molto cool. Molta bossanova, classici jazz da crooner, qualche sambinho e musica mozambicana.
Il pubblico era totalmente diverso da quello di qualsiasi altro locale di Maputo. In primo luogo non conoscevo quasi nessuno, e questo è molto strano anche per uno che esce poco come me. Era un pubblico colto e chic che sapeva far cadere bene la camicia di lino con il pendaglio di ebano etnico –ma-neanche-un-poco-hippy. E che ordinava il cocktail giusto, non la solita caipirinha di noi ignoranti. Ed era un pubblico senza razza. C’erano tutte le sfumature che possono cadere tra il portoghese bianco e lo shangana bantu. E perché accontentarci? C’erano pure un sacco di munhé, i mozambicani di origine indiana che fanno generalmente vita reclusa ed è raro incontrare nei luoghi di divertimento. E non erano bianchi, neri o indiani. Erano tutti solo mozambicani. Ne sono sicuro di questo: quando Arturo si è messo a cantare, in shangana, Hodi del grande marrabentista Fany Mpfumo tutti, bianchi neri e munhe sono scattati in piedi e si sono messi a ballare e a cantare assieme a lui.
Mi immagino Marcello Pera: una notte da Chez rangel e una al Flying Goose, il locale razzialmente purissimo dei grassi e sfatti boers di passaggio a Maputo. Chissà se dopo una dimostrazione tanto evidente della ricchezza del meticciato e gli orrori della poca circolazione dei geni, avrebbe detto le stesse idiozie che gli abbiamo sentito dire ultimamente?