Mulungo
giovedì, settembre 22, 2005
  Rocha Pinto
Che soddisfazione! L'agenzia Reuters ha parlato del nostro progetto in Angola in questo articolo qui.
 
giovedì, settembre 08, 2005
  Maputo nun fà lo stupido stasera
Quando ero giovane, innocente ed (ancor più) ignorante di cose d’Africa, affascinato probabilmente dai risvolti di copertina di alcuni CD, mi immaginavo un bel tempo perduto in cui i tropici confezionavano originali esperimenti culturali che non erano né esportazione di modelli occidentali né un prodotto esclusivamente indigeno. In questo contesto mi figuravo per esempio i night club di Brazzaville o Kinshasa dove gaudenti del luogo, francesi, levantini e quanti altri assistevano a quattro geni congolesi che, dopo aver ascoltato un paio di canzoni cubane alla radio, si inventavano la rumba congolaise. O i cinema di Addis Ababa o la vita notturna di Dakar, suggestioni così per capirsi.

È difficile che il confronto con la realtà non deluda. La maggior parte dei locali di Maputo sono caldi e divertenti. É facile incontrare gente e perdere la testa per quel paio d’ore. Ma in genere non si ha l’impressione di trovarsi lì dove una pagina importante della cultura di una nazione sta venendo scritta. È forse un’eccezione l’Africa Bar. L’ottimismo necessario per vederlo come reale luogo dove si cucina la cultura tropicale non è poi grande. Ci sono sempre bravissimi autori locali, c’è un pubblico abbastanza misto e molte aperture verso il resto del continente africano.

E poi ha aperto Chez Rangel Jazz Bar.

Succede poche volte, ma il locale che il fotografo Rangel ha appena aperto è l’esatta materializzazione di quella che mi ero rassegnato essere solo infantile idealizzazione.
Già la localizzazione è geniale: si trova in una ex sala d’aspetto della splendida (ed essenzialmente inutilizzata) stazione dei treni disegnata da Eiffel (proprio quello della torre). Le mensole di vetro, gli appliques e le piastrelle sono degli anni 30 e 40, così come il taglio del vestito nero del barista. Il lampadario originale art deco è un capolavoro (me lo ha detto un architetto, non sono parole di informatico!). E tutto questo senza un filo di muffa o decadenza. Anzi sono proprio la vitalità e lo swing ciò che rendono Chez Rangel un posto speciale.

La serata di ieri è cominciata con il grande Arturo Garrido Jr., figlio d’arte dell’Arturo Garrido che suonava ai tempi di Samora Machel e fratello maggiore dell’attuale ministro della salute, seduto al nostro tavolo a chiedere delucidazioni sulla corretta pronuncia di faje in “damme 'na mano a faje di de si” dal testo di “Roma non far la stupida stasera”. Questo è stato il brano di apertura della serata. Arturo ci raccontava di come si sia innamorato di quel brano dopo averlo sentito per la prima volta all’hotel Polana cantato da: “i 5 di Roma” un gruppo di Italiani venuti in tournee nell’allora Lourenço Marques, innamoratisi del posto e fermatisi poi per 12 anni (questa è un’altra storia da perseguire…).

Arturo è mulatto. Insieme a lui hanno cantato altri musicisti, alcuni bianchi ed altri di colore. Il repertorio è stato molto raffinato e molto cool. Molta bossanova, classici jazz da crooner, qualche sambinho e musica mozambicana.

Il pubblico era totalmente diverso da quello di qualsiasi altro locale di Maputo. In primo luogo non conoscevo quasi nessuno, e questo è molto strano anche per uno che esce poco come me. Era un pubblico colto e chic che sapeva far cadere bene la camicia di lino con il pendaglio di ebano etnico –ma-neanche-un-poco-hippy. E che ordinava il cocktail giusto, non la solita caipirinha di noi ignoranti. Ed era un pubblico senza razza. C’erano tutte le sfumature che possono cadere tra il portoghese bianco e lo shangana bantu. E perché accontentarci? C’erano pure un sacco di munhé, i mozambicani di origine indiana che fanno generalmente vita reclusa ed è raro incontrare nei luoghi di divertimento. E non erano bianchi, neri o indiani. Erano tutti solo mozambicani. Ne sono sicuro di questo: quando Arturo si è messo a cantare, in shangana, Hodi del grande marrabentista Fany Mpfumo tutti, bianchi neri e munhe sono scattati in piedi e si sono messi a ballare e a cantare assieme a lui.

Mi immagino Marcello Pera: una notte da Chez rangel e una al Flying Goose, il locale razzialmente purissimo dei grassi e sfatti boers di passaggio a Maputo. Chissà se dopo una dimostrazione tanto evidente della ricchezza del meticciato e gli orrori della poca circolazione dei geni, avrebbe detto le stesse idiozie che gli abbiamo sentito dire ultimamente?

 
domenica, settembre 04, 2005
  Flower Power
Ok, qualche albero brutto, scuro e torto c’é. Ma sono pochi e solo lungo il boulevard 24 do Julho. Escludendo questi le vie di Maputo sono un giardino botanico. Tutto il lungomare, dal molo per Catembe fino alla Costa do Sol è terra di palme. Centinaia di palme da cartolina tutte con il proprio grappolo di noci di cocco. A monte della rotonda Mugabwe c’è il boschetto di eucalipti. Ed un altro all’inizio della Mao Tze Tung (un post a parte per i nomi delle vie di Maputo!). Sempre nel quartiere di Sommerschield ci sono dei ficus giganteschi con liane che i bambini usano come altalene. Nella Maguiguana ho visto il mango più grande del mondo. Quattro piani d’albero e decine di quintali di manghi, pronti tra 15 giorni. L’Avenida Armando Tivane invece scorre tra due filari di aranci; piccolini ma graditi alle guardie che passano le giornate a proteggere le case dei ricchi. Gli alberi di papaia invece mi pare preferiscano i quartieri più poveri o gli appezzamenti abbandonati. Sono quasi infestanti: oggi non c’è nulla, domani un virgulto e tra una settimana un albero di 4 metri. Ma Maputo è la città delle acacie. Tra uno o due mesi fioriranno offrendomi una vista gloriosa rosso fuoco dalla finestra della camera. Penso che le acacie siano le piante favorite di quegli iguanini con la testa blu di cui è piena Maputo: é sempre sulle acacie che fuggono quando qualcuno le disturba passando sul marciapiede. Se poi ne sapessi qualche cosa di botanica, saprei riconoscere anche quegli alberi con quella curiosa corteccia verde chiaro o quelle siepi sempre coperte di fiori gialli o le altre tutte viola. È qualcosa nell’aria. La prima settimana in questa casa, già più di due anni fa, avevo gettato un paio di semi di basilico e di prezzemolo in due vasi. Il basilico mi ha condito decine e decine di paste al pomodoro per circa un anno. Il prezzemolo invece anche quando lo riduco ad uno stecco a causa di un risotto ai frutti di mare per 6 persone, non molla mai: continua a produrre con orgoglio ed abbondanza. Avevo comprato anche un banano da appartamento di circa mezzo metro. Ora fa quasi paura: m’ha invaso mezzo salotto e temo che se mi distraggo un attimo me lo trovo in camera.
 
Mulungo è Shangana. Shangana è una delle principali lingue del Mozambico meridionale. Mulungo significa uomo bianco o straniero. La parola ha un’accezione spregiativa. Questo è il blog di un Mulungo friulano che fa il travet tra due banche di microfinanza in Mozambico ed Angola.

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